In una delle sue proposizioni più stringate, ma più dense di significato, Baruch Spinoza (1632-1677) si chiede come mai le passioni dell’Amore e dell’Odio siano più intense quando sono rivolte verso le cose che immaginiamo libere rispetto a quelle che sono necessarie. L’amore e l’odio verso una cosa che immaginiamo libera, a parità di causa, devono essere maggiori che verso una cosa necessaria (cf. Etica, III, Proposizione XLIX, in Spinoza, Opere, I Meridiani Mondadori, 2007, p. 940). Per capire questa idea occorre prendere le mosse dalla definizione di libertà che è centrale nel pensiero spinoziano: Si dice libera quella cosa che esiste per sola necessità della sua natura e che è determinata ad agire soltanto da sé stessa; necessaria, o meglio, coatta, la cosa che è determinata da altro a esistere in una certa e determinata maniera (Etica, I, Definizione VII, cit., p. 788). Il nucleo di tale definizione consiste nel concepire la libertà come autodeterminazione e la necessità o coazione come eteredoterminazione. Ma, attenzione! La nozione di libertà in Spinoza non si definisce mai per esclusione della determinazione, perché l’uomo è libero proprio quando è determinato dalle leggi della propria natura e non quando – come spesso avviene – è determinato da cause esterne che attengono all’ambiente, alla società, alla cultura in cui vive, quindi in modo necessario o coatto. In Spinoza non vi è contrarietà tra libertà e necessità se per quest’ultima si intende ciò che costituisce la nostra natura più intima e vera. Proprio vivendo secondo quella natura, liberandoci dai condizionamenti, dalle coazioni anche quelle più sottili che spesso le strutture famigliari o le convinzioni sociali o i poteri economici o politici vogliono esercitare su di noi, possiamo dirci liberi. La necessità che invece proviene dalle cause esterne e non dalla nostra natura è quella che è contraria alla nostra libertà. Chiarito questo concetto, capiamo perché Spinoza dice che, quando immaginiamo una cosa libera, cioè per sé, senza le altre, il nostro amore o il nostro odio per essa è maggiore di quello che avremmo se la cosa fosse condizionata da altro. Così, ad esempio, amiamo più un amico di un parente quando il primo lo amiamo per sé stesso, senza porlo in relazione a nessun altro. Mentre il parente lo amiamo soprattutto perché, in ragione del legame di parentela, ci viene chiesto dalla famiglia e dalla società di farlo. Però, avvertiamo come questo affetto sia minore, perché la sua causa non è da sola, ma con altre. “Un estraneo che fa lega con il tuo carattere, come amico supera mille consanguinei” (Euripide, Oreste, trad. di F. M. Pontani, in I Tragici Greci, Newton Compton, Roma, 2018, p.1106). Allo stesso modo odiamo maggiormente una persona che liberamente vuol farci del male più di una persona che lo fa per dovere del suo ufficio, come, ad esempio, un soldato che non ci prende di mira perché siamo noi, ma perché militiamo nell’esercito avversario e quindi lo odiamo in modo minore rispetto a qualcuno che, per sua sola deliberata decisione, voglia aggredirci.
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