La volontà di questa “saga”, divisa in tre episodi, è quella di parlare della discendenza hegeliana. Non mi soffermerò sul personaggio in sé, perché non ha bisogno certamente di presentazioni. Dirò solamente che ci troviamo di fronte ad un vero e proprio gigante, un autore che ha lasciato il segno, dalla sua epoca fino ai giorni nostri.
La sua eredità è preziosa e fruttuosa, un ostacolo inaggirabile pari al pensiero di ad esempio Platone o Aristotele. Non a caso si parla sempre di un “prima ed un dopo Hegel”.
Parlare dell’hegelismo, in generale e dei vari suoi interpreti, richiede veramente molto tempo. Proprio per questo motivo ho scelto tre autori per tracciare un percorso che va dalla fine dell’Ottocento fino alla contemporaneità: August Cieszkowski, Alexandre Kojève e Jacques Lacan.
Tre personalità diverse di epoche diverse, che a modo loro hanno reinterpretato e attualizzato il pensiero del filosofo tedesco.
Conversazione con Gemini
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Nato a Mosca nel 1902, nipote di Kandinsky, Alexandre Kojève abbandona diciottenne l’Unione Sovietica per trasferirsi dapprima in Germania, dove studia con Jaspers, e poi nel 1926 a Parigi. Lì, l’incontro fruttuoso con Alexandre Koyré, lo porta ad ottenere una cattedra nella prestigiosa “École Pratique des Hautes Etudes”.
Dopo la guerra, precisamente fra il 1933 e il 1939, inizia proprio qui a tenere quei corsi sulla Fenomenologia dello spirito di Hegel (pubblicati solo nel 1948) che avrebbero lasciato un’impronta profonda e duratura su tutta la cultura, soprattutto filosofica, francese. Ha infatti allievi che diventano poi celeberrimi, come ad esempio Jacques Lacan (il protagonista del prossimo articolo risentirà molto dell’influenza del filosofo russo), Maurice Merleau-Ponty, André Breton, George Bataille. Anche Walter Benjamin, durante il suo esilio a Parigi, frequenta saltuariamente le lezioni di Kojève. Il suo insegnamento è particolare: influenzato da Nietzsche e Marx, si concentra particolarmente sulla dialettica servo-signore (con un forte accento sulla tematica del Desiderio) e sull’importanza della Storia.
Certo, ecco il testo corretto:
Nato a Mosca nel 1902 e nipote di Kandinsky, Alexandre Kojève abbandonò l’Unione Sovietica a diciotto anni per trasferirsi prima in Germania, dove studiò con Jaspers, e poi, nel 1926, a Parigi. Lì, l’incontro fruttuoso con Alexandre Koyré lo portò a ottenere una cattedra presso la prestigiosa “École Pratique des Hautes Études”.
Dopo la guerra, precisamente tra il 1933 e il 1939, iniziò proprio qui a tenere quei corsi sulla Fenomenologia dello spirito di Hegel (pubblicati solo nel 1948) che avrebbero lasciato un’impronta profonda e duratura su tutta la cultura francese, soprattutto filosofica. Ebbe infatti allievi che divennero poi celeberrimi, come Jacques Lacan (il protagonista del prossimo articolo risentirà molto dell’influenza del filosofo russo), Maurice Merleau-Ponty, André Breton e Georges Bataille. Anche Walter Benjamin, durante il suo esilio a Parigi, frequentò saltuariamente le lezioni di Kojève. Il suo insegnamento era particolare: influenzato da Nietzsche e Marx, si concentrava soprattutto sulla dialettica servo-signore (con un forte accento sulla tematica del Desiderio) e sull’importanza della Storia.
Prendiamo ad esame questi due passi:
«Perché ci sia Autocoscienza, occorre dunque che il Desiderio si diriga verso un oggetto non-naturale, verso qualcosa che oltrepassa la realtà data. Ora, la sola cosa che oltrepassi questo reale dato è lo stesso Desiderio. Infatti il Desiderio, assunto come tale, cioè prima della sua soddisfazione, è in realtà solo un niente rivelato, un vuoto irreale. Dato che il desiderio è la rivelazione di un vuoto, la presenza dell’assenza di una realtà, esso è essenzialmente altro dalla cosa desiderata, altro da una cosa, da un essere reale statico e dato, eternamente mantenentesi nell’identità con se stesso. Il Desiderio che si dirige verso un altro Desiderio, assunto in quanto Desiderio, creerà dunque, mediante l’azione negatrice e assimilatrice che lo soddisfa, un Io essenzialmente altro dall’”Io” animale».
«Detto altrimenti, ogni Desiderio umano, antropogeno, generatore dell’Autocoscienza, della realtà umana, è, in fin dei conti, funzione del desiderio di “riconoscimento”. E il rischio della vita mediante il quale “risulta” la realtà umana è un rischio in funzione di un Desiderio di questo tipo. Parlare dell’“origine” dell’Autocoscienza è dunque necessariamente parlare d’una lotta a morte in vista del “riconoscimento”»
In questi due frammenti vediamo molto di quello che sarà poi il debito “hegeliano” di Lacan. L’uomo si distingue dall’animale per questo moto perpetuo, originato dal desiderio di essere visto e distinto, e non per scopi meramente riproduttivi. L’uomo procede dialetticamente in questo scontro, nel quale distingue sé e l’Altro, in cui la morte (meramente metaforica, perché occorre che l’altro sopravviva) può essere riassunta così: “Di tutto l’esistente, se consideriamo solo me e te, io sento il bisogno di ‘eliminarti’ per delimitare il mio confine e la mia entità”. Questo atteggiamento diventa la base del rapporto di interazione sociale, quello che darà le basi teoriche per distinguere, in Lacan, tra discorso del Padrone e quello dell’Isterica (Servo).
Secondo Kojève, riprendendo qui anche Marx, il lavoro del Servo crea Godimento per il Padrone e, allo stesso tempo, annulla il dato immediato, rappresentato dalla stasi della Natura che non mostra un’evoluzione dialettica. Questi due processi, uno morfogenetico (in senso ambientale) e l’altro antropogenetico (la continua evoluzione dell’Umano), portano verso una forma di autocoscienza come manifestazione della libertà nella Storia. La Storia, quindi, è il processo attraverso il quale l’umanità sviluppa la propria autocoscienza, ottenendo così la consapevolezza della propria libertà e raggiungendo livelli maggiori di uguaglianza, attraverso lotte dialettiche interne ad essa. L’uguaglianza viene raggiunta soprattutto attraverso l’erezione di strutture politiche e sociali che garantiscono la libertà e l’uguaglianza di ogni membro della società. All’apice dell’autocoscienza, assistiamo alla conclusione della Storia, periodo in cui, con l’avanzare della tecnica, l’uomo è persino nelle condizioni di sopprimere il lavoro e i conflitti e poter ritornare a uno stadio pre-umano, dove si limita a soddisfare i bisogni più basilari e a godere della propria esistenza. Occorre precisare che la “fine della storia” per Kojève non significa la fine degli eventi. La vita biologica, quindi, continua, ma non ci sono più grandi cambiamenti socio-politici.
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