Complemento – Ontologia modale in Giorgio Agamben

Come detto in un precedente articolo qui pubblicato1, non potendo dare una definizione esaustiva e completa di Soggetto, poiché vi è sempre un resto, un pi greco in eccedenza, resta in sospeso la “domanda delle domande”, la questione filosofica per eccellenza: il ti esti socratico, il che cos’è, che è alla base di ogni riflessione ontologica.

Occorre quindi procedere con una seconda navigazione riguardo alla questione, occorre tornare sul tema variando la domanda dal quod est ad un quomodo est, ovvero limitarsi semmai al com’è delle cose. Lavoro di per sé arduo se si tratta di normare il Soggetto. In questo ci viene in soccorso un nuovo modo di fare ontologia, che è quello dell’ontologia modale: è uno slittamento dalla constatazione sostanziale, dal dire “che cos’è”, per andare a definire il “come”, focalizzandoci non sulla sua essenza ma sul suo ethos.

E per farlo si potrebbe prendere esempio dalla psicoanalisi e le sue prassi: interrogare l’altro stando però in silenzio, lasciando parlare le sue questioni, le sue interpunzioni.

In questa opera ci viene in soccorso Giorgio Agamben che rimodella i concetti di dynamis, energheia ed entelecheia per portarci verso un nuovo orizzonte: l’errore “storico” è sempre stato quello di porre una temporalità in questo rapporto di tipo causale. Con Agamben la potenza ottiene dignità restando potenza in quanto tale, restando nel limbo di un passaggio mancato o possibile all’atto. L’exaiphnes, l’istante in cui questo mutamento avviene è un qualcosa sì dell’ordine del possibile ma anche dell’ordine dello smarcamento dalla quantizzazione, uno scollamento dal tempo che forse crea un nuovo spazio metafisico: si viene a negare la processualità ed il finalismo della potenza. Questo modo effettivo della sua esistenza le permette di non risolversi nell’atto e di congelarsi nella sua perenne realizzazione, diventando autonoma.

Agamben, nell’uso dei corpi, declina il concetto tratto da Spinoza dell’acquiescenza in se stessi come la possibilità per l’essere umano di essere nelle condizioni di contemplare se stesso e la propria potenza di agire. Così formulata potrebbe quindi riprendere il concetto di adynamia, ovvero la possibilità non concretizzata di attualizzarsi.

Riprendendo poi il concetto di individuazione elaborato da Duns Scoto, Agamben sottolinea come la singolarità di ogni esistenza non aggiunga nulla alla forma comune, se non una sua ultima istanza, il suo modo di essere hic et nunc.

Agamben indica anche il processo antropogenetico insito nell’ontologia modale: l’essere umano si costituisce in singolarità attraverso sue stesse modificazioni.

Ed è quindi questo Soggetto, ente che è energheia pura (non in chiave capitalistica, non vi è il suo “tutto è possibile”) vive perennemente la sua “potenzietà”, il suo esser potenza attraverso il processo di Soggettivazione, che vede come unico segno di interpunzione le virgole, anche dopo la morte. Un discorso che si scrive di subordinate e coordinate senza avere un termine, come le cifre dopo la virgola nel pi greco.

La cosa che però sottolinea bene Agamben è che il vero potere del Soggetto non risiede nelle capacità realizzative, nel farsi atto, bensì nella sua “potenza di non”, nella sua adynamia e che è frutto sia di un potere decisionale che delle circostanze.

Il Soggetto quindi si mostra molto più artefice del proprio destino, che come in uno scambio tennistico alterna desiderio e godimento, atto e potenza (o non potenza), perde il suo essere Cosa per entrare nel Simbolico e farsi modale e modulare, assemblandosi attraverso i discorsi dell’Altro.

1 Cfr. “Soggetto – Domande difficili, risposte impossibili”

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