Logos e Mythos nella psyché umana (pt. 1)

Le teorie della scuola stoica come punto di partenza per interpretare l’intelletto

Quando ci approcciamo allo studio della mente umana da un punto di vista filosofico ci imbattiamo immediatamente in un concetto che ci perseguita da tempo immemore: parliamo del concetto di ψυχή (psyché) che in maniera molto maldestra abbiamo sempre tradotto come anima, anche se effettivamente per i greci aveva un significato molto più denso.

Muovendo i passi in un caso specifico, quello della scuola stoica, emerge l’idea di una psyché (fatta eccezione per Posidonio) che ruotava attorno alla razionalità del logos e di come non fosse preda di agenti letteralmente esterni. Questo pensiero era in realtà comune e riscontrabile in Platone ed altre scuole successive di epoca ellenistica.

A suscitare il mio interesse è stata la teoria posta da Crisippo sull’onda di quanto detto precedentemente da Zenone: nella nostra anima il “logos”, ovvero il nostro centro di pensiero, quando è di fronte a delle pulsioni o delle emozioni di cui non riesce ad avere il controllo muta in “alogon”, una sorta di alter ego negativo che ci porta a comportarci in maniera irrazionale.

Sin dall’antichità la filosofia ha avuto un approccio “grammaticale” alle questioni delle sue definizioni e dell’esposizione dei concetti. Per questo poi è nato un concetto filosofico fondamentale, che definisce il punto di osservazione in contrapposizione con l’Essere: il Soggetto.

Trovandomi a riflettere sulla sua definizione e la sua “composizione” mi sono chiesto: il Soggetto è la sintesi di un continuo confronto dialettico e dialogico tra me (fisico e psicologico) e l’Altro, a mo’ di processo metabolico, oppure è “un’eccedenza”, un elemento terzo puramente etico ed inconscio che nasce dall’interazione dell’intelletto che in un movimento circolare (che ricorda molto quello dell’idealismo tedesco) prima si “aliena da me” e poi vi fa ritorno come sintesi di un confronto con l’esterno.

In buona sostanza è la somma stratificata di Uno e Molteplice (Niccolò Fabi avrebbe detto “una somma di piccole cose”) oppure il “resto” che si manifesta col dire e con l’agire e che              otteniamo se “eliminiamo” sia l’eidos umano sia il mondo esterno?

Ripescando Michel Foucault, vorrei sottoporre alla vostra attenzione due citazioni tratte dal saggio Che cos’è l’illuminismo:

Il soggetto non è mai estraneo alla sua prassi, è implicato dal dire, fare, pensare: nessun atto è neutrale, non c’è volontà perché tutto questo si riflette sul soggetto; si realizza nel dire, fare, pensare. Questi tre atti inoltre implicano il soggetto al di là di quello che prevede per se stesso: il sapere non è mai in discussione, è mera conferma che ha il soggetto di se stesso e del mondo. Sono slegati dalla volontà, inoltre, perché può accadere che per esempio il nostro agire porti ad esiti diversi da quelli sperati.

[..] il soggetto come punto d’incontro di tempo, luogo ed eventi. Non siamo il prodotto risolto del passato ma anche delle questioni irrisolte e rimaste tali.

Dal mio punto di vista occorre vedere i soggetti come eventi, che non solo accadono ma anche dotati di significato (altrimenti non sarebbero tali); inoltre occorre sottolineare come ogni azione ed immagine vengano metabolizzate dal nostro logos.

Vi è, secondo me, un “di più” in ciascuno di noi, che ci abita e di cui parleremo in seguito.

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