Letture novecentesche di Spinoza: Piero Martinetti (4)

Piero Martinetti (1872-1943) ha dedicato un saggio specifico al tema della religione nel pensiero spinoziano dal titolo Problemi religiosi nella filosofia di B. Spinoza che lo si trova ora pubblicato, insieme agli altri tre saggi di cui ho scritto negli articoli precedenti, nel volume La religione di Spinoza, a cura di Amedeo Vigorelli, Mimesis, Milano-Udine, 2022, 115-143. Baruch Spinoza (1632-1677), dopo avere liquidato la superstizione come forma di vita religiosa maggiormente praticata dagli esseri umani – forma, in realtà, irreligiosa – si concentra sull’idea fondamentale che è all’origine di ogni religione: quella di rivelazione. Come nota Martinetti, egli parte dal concetto volgare e definisce la rivelazione, non senza una certa ironia, come una cognizione che eccede i limiti della conoscenza naturale e filosofica e che non può venire spiegata con le sole leggi della natura umana. Questa cognizione, che hanno i rivelatori (i profeti, i fondatori, cioè, consapevoli o meno, di una religione) per Spinoza è essenzialmente un’intuizione morale, che non procede, però, dall’intelletto ma dalla potenza immaginativa, una rara e felice disposizione interiore per la quale l’uomo, pur non essendo giunto ancora alla conoscenza filosofica, ha un vivido presentimento delle sue conclusioni pratiche. Perciò i rivelatori hanno cercato il fondamento della loro dottrina in un ordine mirabile e immutabile, anche se si tratta, in realtà, di un ordine di esperienze adeguate alla mentalità immaginativa comune. Mentre per il filosofo è l’ordine mirabile e immutabile che prova la realtà di Dio, per il religioso sono gli interventi straordinari, le interruzioni apparenti dell’ordine della natura, che gli danno la persuasione dell’esperienza di Dio. Da questo punto di vista Spinoza, non solo svuota di valore i miracoli, ma li considera frutto di ignoranza: “Miracula ed ignorantiam pro aequipollentibus sumpsi” (Lettera LXXV ad E. Oldenburg). Nel sistema di pensiero spinoziano si ha così in nuce quella che sarà la visione hegeliana della religione. Per lui, infatti, la religione rivelata nel suo complesso rende possibile e prepara quell’illuminazione dell’intelligenza che costituisce il passaggio decisivo dalla religione alla filosofia: onde – scrive Martinetti – se per religione intendiamo genericamente l’unione dell’uomo con Dio (Ethica, IV, 37, Scolio 1), possiamo dire con Spinoza che essa si esplica in tre forme: la religione rivelata nazionale, la religione rivelata universale, la religione filosofica. La perfezione dell’uomo sta nell’intendere e nell’amare Dio. E Dio è veramente amato, quando è amato per sé stesso, perché egli è il vero bene, non per speranza o timore: il vero castigo è la lontananza da Dio. Finché l’uomo non ha una conoscenza intellettiva di Dio, egli apprende le sue volontà come precetti; ma quando ne ha penetrato la natura, l’obbedienza fa posto all’amore che nasce dalla conoscenza vera così necessariamente come la luce nasce dal sole (cf. Tractatus Theologico-politicus,n. 34).  

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