Letture novecentesche di Spinoza: Karl Jaspers (1)

Karl Jaspers (1883-1969), uno dei più interessanti filosofi esistenzialisti del secolo XX, nel 1957 pubblicò un’opera straordinaria dal titolo Die Grossen Philosophen, (I Grandi Filosofi, Longanesi, Milano, 1973), che doveva rappresentare la prima parte di una storia universale della filosofia. Jaspers articola l’opera in tre sezioni, la terza delle quali designa con il titolo “I pensatori metafisici che attingono all’origine” tra cui egli pone Baruch Spinoza (1632-1677), al quale dedica un ponderoso e splendido saggio, poi ripubblicato nel 2015, come volume a parte, per i tipi di Castelvecchi, Roma, in un’edizione a cura di Gianpaolo Bartoli. Si tratta di una delle sintesi più dense ed attualizzate del pensiero spinoziano, dove Jaspers scava per comprendere come al suo interno l’assoluto sappia convivere con l’essere umano che vive dentro l’assoluto come suo luogo inevitabile, anche se non lo vuole, anche se non lo vede. Si capisce il fascino esercitato da Spinoza su Jaspers, filosofo ossessionato dall’idea del fondamento trascendente ed inoggettivabile dell’esistenza, nel capitolo che egli dedica ai sei momenti del pensiero spinoziano su Dio. Primo: Dio esiste. Il nostro esserci è transitorio, ed essendo individuale, non è necessario, bensì casuale. Ma se pensiamo che sia, nel pensarlo non possiamo che pensare come necessario il suo fondamento. La mera esistenza del non necessario è impensabile. Per Spinoza l’idea di essere necessario è l’idea di sostanza o di Dio, che non ha bisogno di alcuna giustificazione o deduzione, perché chiara e certa in sé stessa. Secondo: Dio è infinito. La sostanza che esiste necessariamente è infinita. Se non lo fosse, non sarebbe solo in sé stessa, perché in rapporto ad altro. Gli attributi ne determinano l’essenza e all’essere umano è dato conoscerne solo due, il pensiero e l’estensione, ma essi sono infiniti. Jaspers insisterà più volte sulla infinità degli attributi come espressione della ricchezza di essere dell’essenza necessaria. Terzo: Dio è indivisibile. Non c’è separazione nella sostanza infinita. In Dio libertà e necessità sono un’unità indivisibile. Dio non ha il potere di volere o non volere qualcosa, perché Dio agisce nello stesso modo in cui è. Quarto: Dio è unico. Dio è unico perché la sostanza infinita non può che essere una sola. Ma per Spinoza l’unicità di Dio non ha il senso numerico dell’uno, perché questo è comunque concepito in rapporto ad altro, per cui per lui solo in modo approssimativo si può dire che Dio sia uno. Quinto: Dio è indeterminabile e irrappresentabile. Dio non può essere rappresentato, ma solo pensato. Non gli si può attribuire una personalità, perché sarebbe come determinarlo in questo o in quell’oggetto o scopo, come fanno le essenze finite. Sesto: lontananza e prossimità di Dio. L’infinita molteplicità dei suoi attributi sconosciuti indica la trascendenza di Dio, mentre i due attributi conosciuti indicano la sua immanenza. Il mondo esiste in Dio, ma egli non si compie nel mondo. Spinoza non è panteista, e nemmeno acosmista.  Novalis diceva che “Spinoza è un uomo ebbro di Dio”.

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