Letture novecentesche di Spinoza: Karl Jaspers (2)

Nel saggio che nel 1957 Karl Theodor Jaspers (1883-1969) dedicò a Baruch Spinoza (1632-1677), si affronta con la consueta acutezza d’analisi la teoria della conoscenza del filosofo olandese. Jaspers spiega che in Spinoza si distinguono tre gradi della conoscenza: 1) il primo è quello dell’illusione propria dell’opinione e della rappresentazione (imaginatio) attraverso i sensi; 2) il secondo è quello della ragione (ratio), mediante un processo logico-combinatorio, discorsivo, indiretto; 3) il terzo è quello dell’intelletto (intellectus) che consiste in uno sguardo logico-intuitivo, immediato. È molto importante questa distinzione dei tre gradi del sapere per smentire la concezione diffusa secondo la quale Spinoza sarebbe un filosofo razionalista. Jaspers dice chiaramente che qualificare Spinoza come razionalista è dimenticare che la sua filosofia è pensata nel terzo genere della conoscenza, quello dell’intuizione, esprimendosi con i mezzi del secondo genere, quello della ragione, senza esaurirsi in tali generi, né rinvenendovi il suo ultimo decisivo fondamento. Questo perché la sorgente della conoscenza è laddove Dio è davvero presente. Senza Dio le cose singole non solo non possono esistere, ma nemmeno possono essere concepite.  E per Spinoza “lo spirito umano nella misura in cui concepisce le cose con verità è parte dell’infinito intelletto di Dio” (Etica, II, Proposizione 11) e quindi “ha una conoscenza adeguata dell’essenza eterna e infinita di Dio” (Etica, II, Proposizione 47). Si tratta di un’affermazione molto forte, che rivela come per Spinoza l’unione con il divino non passa per un’esperienza mistica, ma avviene sempre per mezzo del pensiero, del puro pensare, proprio del terzo genere di conoscenza. Per Spinoza Dio è accessibile al pensiero, non è un oggetto inarrivabile a cui tendere con una ricerca senza fine, facendo di questa ricerca quasi un suo surrogato. Scrive Jaspers con mirabile profondità di comprensione del pensiero spinoziano: “Spinoza ha certezza di Dio, non lo cerca. Egli non indaga più, ma mostra l’eterno, le relazioni solide e permanenti (…) Non si tratta più di scoprire, ma di chiarire, non di avanzare, ma di penetrare continuamente. Quanto segue alle dimostrazioni ha il carattere di un chiarimento meditativo di quanto all’inizio si presentava non fondabile” (K.T. Jaspers, Spinoza, Castelvecchi, Roma, 2015, p. 59).  Questo spiega perché per Spinoza la ragione, che pure gioca un ruolo fondamentale nella chiarificazione dell’esistenza (la Existenzerhellung molto cara a Jaspers, che ne fa oggetto di ampia trattazione nella sua fondamentale Philosophie del 1932), non ha nessun potere di giovare alla nostra felicità, che invece sorge dall’immediato rendersi manifesto dell’oggetto all’intelletto. “Se questo oggetto è magnifico e buono, l’anima vi si unisce necessariamente” (KV 2,22). Allora il pensare – conclude Jaspers – è un mezzo per la chiarificazione della stessa realtà. L’impressionante in Spinoza non sta allora nel metodo geometrico del suo filosofare, ma nella realtà di Dio presente nel suo pensare.   

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