Letture novecentesche di Spinoza: Karl Jaspers (6)

L’ultimo capitolo del saggio del 1957 che Karl Theodor Jaspers (1883-1969) dedica a Baruch Spinoza (1632-1677) riguarda il suo modernissimo concetto di Stato, un pensiero contenente tutti gli anticorpi di ogni sua deriva totalitaria. Jaspers affronta subito il punto nodale dell’idea spinoziana dello Stato: “la realtà autentica dello Stato si può conoscere unicamente tramite l’esperienza e non attraverso concetti puri. Infatti, dal concetto dell’essenza non consegue l’esistenza (tranne dall’essenza della divinità), bensì l’effettiva realtà e la sussistenza delle cose si mostra solo all’esperienza” (K.T. Jaspers, Spinoza, Castelvecchi, Roma, 2015, p. 108). Ne consegue che quel che esiste attraverso lo Stato non può esserne il fondamento né può vincolarlo. È esattamente il contrario di ciò che afferma ogni pensiero totalitario o populista che pretende di fondare lo Stato su sé stesso attraverso un concetto puro (il re, il popolo, l’etnia, etc.). La stabilità dello Stato proviene solo dalla ragione, che ne fonda le leggi. Qui Spinoza, però, fa una precisazione fondamentale.  Quello che la ragione interpreta come giusto o meno, non è tale riguardo alle leggi dell’intera natura bensì solo riguardo alle leggi della nostra natura. La natura, infatti, “non è confinata sotto le leggi della ragione umana che mirano unicamente alla vera utilità e conservazione dell’uomo, ma piuttosto è subordinata ad altre infinite leggi che attengono all’ordine eterno dell’intera natura” (Spinoza, Tractatus politicus, 2, 8). Bisogna sempre ricordare che per Spinoza – scrive Jaspers – “le leggi naturali finite conoscibili che noi concepiamo riguardano qualcosa di inferiore alla ragione filosofica e alla libertà. La legge onnicomprensiva divina della necessità eterna è invece superiore ad ogni cosa determinata che possiamo conoscere. Ogni conoscenza finita e il suo utilizzo come mezzo per certi scopi, ogni legge data nella società sotto forma di un dovere, scompare” (K.T. Jaspers, cit., p. 116). La libertà dell’essere umano, che attiene all’ordine eterno della natura, quindi a Dio, sovrasta la sfera dello Stato, perché l’essere umano non è nella natura come uno Stato nello Stato, indipendentemente dalle altre cose. Spinoza, pur ponendo la ragione come fondamento della stabilità e della sicurezza dello Stato, afferma che lo scopo ultimo dello Stato non è la sicurezza, né la sua durata, ma la libertà in cui gli uomini possono esercitare le forze del corpo e dello spirito e giungere alla ragione. Per Spinoza, infatti, anche se dovessimo cadere fuori dalla sicura esistenza umana, non potremmo mai uscire dal mondo o da Dio. L’uomo sa, per la sua intellezione filosofica, che qualunque cosa gli accada, si trova sempre nella necessità eterna, che non solo fonda la sua libertà, ma cancella la sua disperazione donandogli serenità. “Spinoza – conclude Jaspers – non si lamenta e non accusa le cose per come sono, è privo dell’atteggiamento di Giobbe, ma il suo distacco non scaturisce dall’indifferenza degli irrazionalisti o degli immoralisti, bensì dall’amore per Dio” (K.T. Jaspers, cit., p. 117).

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