Letture novecentesche di Spinoza: Robert Misrahi (3)

Il filosofo Robert Misrahi (1926-2023) ha saputo presentare il pensiero di Baruch Spinoza (1632-1677), come una vera “via” per vivere una vita felice. Nell’agile monografia, con correlata antologia del pensiero spinoziano, che scrisse nel 1970 (Spinoza, la vita, il pensiero, testi esemplari, Accademia-Sansoni editori, Firenze, 1970) egli afferma che l’essenza del rapporto Corpo-Mente in Spinoza è riflessiva: “siamo il nostro corpo nella misura in cui siamo la coscienza della coscienza del corpo, o l’idea di un’idea dell’affezione” (cit, p. 69). Questo tema della riflessività muove da due proposizioni fondamentali dell’Ethica. La prima afferma: “La mente umana percepisce non solo le affezioni del corpo, ma anche le idee di queste affezioni” (Ethica, II, Proposizione 22). La seconda introduce il concetto che Misrahi chiama appunto riflessività:La mente non conosce sé stessa, se non in quanto percepisce le idee delle affezioni del corpo” (Ethica, II, Proposizione 23). Nella sua autobiografia intellettuale dal titolo La nacre et le rocher (Editions Le Belles Lettres) pubblicata in Francia nel 2012 Misrahi dedica alcune pagine di rara acutezza a questo tema. Egli scrive: “…ogni individuo è, come coscienza di sé, una riflessività. Non una riflessione, meditazione, conoscenza, dominio di sé, ma, comunque, presenza a sé stesso, distanza da sé stesso e libera attività. L’individuo ordinario, non conoscente, non riflettente, è già comunque riflettività, presenza e attività, è già un soggetto” (p. 205, traduzione mia). Misrahi vuole dirci che, per fondare la soggettività, non occorre altro che essere presenti a sé stessi, spontaneamente liberi. Questa libertà è ancora, però, una libertà che Misrahi chiama di primo livello e nondimeno è la stessa libertà che caratterizza l’affettività, cioè il Desiderio, che non è altro che la ricerca della gioia, della felicità. Questa libertà non essendo quindi necessariamente felice, desidera “liberarsi”, cioè, raggiungere quella gioia e quella soddisfazione che già premonisce, che desidera e che già necessariamente vive. Essa quindi si “libera”, si emancipa, si ricostruisce come libertà di secondo livello, cioè, capace di una riflessione organizzatrice e gioiosa. Misrahi sintetizza così: “Le liberazione è innanzi tutto il passaggio da una libertà spontanea (fatta di desiderio e riflessività) a una libertà riflessa (fatta di desiderio e riflessione)” (p. 208, traduzione mia). Misrahi aggiunge che in questa scelta di “liberazione” il soggetto diventa creatore di senso, perché crea una situazione e sceglie una possibilità tra tante altre. Questo potere costituente un senso alla scelta fatta, può non essere adeguato o benefico, efficace e giusto, ma comunque non impedisce mai di dire che ogni individuo è un soggetto e, di conseguenza, che ogni individuo è libero e creatore di senso. Per Misrahi è a questo punto che si inserisce l’etica. Essa consisterà nel riconoscere i poteri della riflessività di primo livello e nell’essere capace di inventare un secondo livello di nuovi significati, il livello del Desiderio e della riflessione. Per Misrahi è questa la strada che porta alla gioia. Egli scrive, infatti: “Il dinamismo della mia vita fu (ed è) quello del mio Desiderio, ma questo Desiderio è la coscienza stessa, in prima persona, libera e dipendente dapprima, libera e indipendente in seguito, cioè libera e felice. Io ho sempre saputo che avevo in me il più altro desiderio della gioia e che disponevo anche dei mezzi propri di questo Desiderio: la costante possibilità di rifondare e riattivare il mio Desiderio per mezzo della mia riflessione, cioè attraverso me stesso al secondo livello” (p. 209, traduzione mia).

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