La filosofia non smette mai di stupire chi la frequenta. La parola filosofica, infatti, vive in una singolarità in cui il passato è sempre proiettato verso il futuro, il quale, a sua volta, rilegge retroattivamente il passato, gettando su di esso nuova luce.
Ed è in questa singolarità che si inserisce l’opera di Giulia Battistoni dal titolo Il privilegio della follia. Hegel tra diritto, morale e antropologia, uscita nelle librerie a gennaio 2025, edita dalla casa editrice Il Mulino e pubblicata in collaborazione con il Centro “Ricerche di Gnoseologia e Metafisica” dell’Università di Verona. Attualmente Battistoni è Marie Skłodowska-Curie Post-Doctoral Global Fellow presso l’Università di Verona ed è stata Visiting Researcher presso la Boston University fino a pochi mesi fa. Per dare un paio di coordinate ulteriori a chi legge, la ricerca di Battistoni verte sulla filosofia classica tedesca (con un particolare sguardo alla filosofia del diritto), la filosofia della medicina e la fondazione razionale dell’etica.
Ritengo che l’opera si inserisca proprio in quella singolarità indicata all’inizio di questo articolo, poiché propone uno studio profondo e cristallino delle riflessioni di Hegel in tema di diritto e psicologia, delineando la questione dell’imputabilità del soggetto affetto da disturbo mentale e tracciando un percorso storico-giuridico a partire dal diritto in vigore nei territori di lingua tedesca tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento e dagli scritti di Kant.
Nell’opera Antropologia dal punto di vista pragmatico, Kant si addentrò nel complesso tema della perdita della ragione associata alla follia. La descrisse come una sorta di perdita del senso comune, sostituito da un senso – anche logico – personale. In altre parole, chi vive la follia perde la capacità di giudicare e di interagire con gli altri sulla base di principi razionali condivisi, sviluppando invece un sistema di pensiero tutto suo, che risulta completamente unico e spesso incomprensibile a chi lo circonda. Kant distinse tra diverse manifestazioni del disturbo mentale, considerandole come forme di degenerazione delle facoltà conoscitive. Tra queste, troviamo la cosiddetta insensatezza, caratterizzata dall’incapacità di organizzare le rappresentazioni in modo coerente; il delirio, che si fonda su una narrazione soggettiva e distorta della realtà; la dissociazione, che implica una frattura nell’unità della coscienza; e infine la stravaganza, che si manifesta come un allontanamento dal modo di pensare comune.
Il testo ci porta poi ad analizzare il lavoro dello psichiatra francese Philippe Pinel, il quale sosteneva una concezione del folle molto diversa dall’epoca precedente. Grazie al suo lavoro, infatti, il soggetto venne visto come individuo ancora dotato di volontà e ragione, in contrasto con la prassi del tempo che confinava i malati negli Ospizi, considerandoli minacce per la società. Pinel divenne celebre per aver liberato i pazienti dalle catene, intuendo che alcune patologie potevano essere trattate e curate, e trasformando la Salpêtrière (l’istituto in cui operava) in un centro di cura innovativo. Convinto dell’importanza della dignità umana, abolì le punizioni corporali, ritenendole dannose per chi conservava la ragione e inutili per chi l’aveva persa. Credeva nella possibilità di “risvegliare” la ragione e favorire la guarigione. Tra i suoi studi, si concentrò sulla “mania sine delirio”, stimolando la riflessione medica sull’esistenza di disturbi mentali in cui le facoltà cognitive sembravano preservarsi e aprendo il dibattito sulla distinzione tra funzioni della volontà e funzioni dell’intelletto.
Giungiamo, infine, a Hegel e alla sua Antropologia, in cui vediamo teorizzata l’anima come ancora legata alla naturalità e, quindi, non ancora, del tutto, spirito. Pur essendo “figlio del proprio tempo”, Hegel apportò delle novità interessanti sul tema della follia, con notevoli ripercussioni sul diritto tedesco successivo. Dato il legame tra corpo e anima, quest’ultima può essere curata tanto quanto il primo, quando possibile, ovviamente. Lo stato dell’arte dell’epoca era bivalente: da un lato, si riteneva che i disturbi mentali fossero di origine somatica, dall’altro, si riteneva che fossero di origine “peccaminosa”. Per Hegel, si trattava di due posizioni errate e unilaterali.
Se il soggetto non riesce a elaborare la particolarità del sentimento di sé, quest’ultima prende il sopravvento. Ricordiamo che, nelle malattie somatiche, per Hegel accade la stessa cosa: una particolarità si muove contro la totalità e prende il sopravvento, generando la malattia. Quando il soggetto si trova in questa condizione, viene meno l’oggettività del mondo esterno e, anzi, soggettività e oggettività convivono all’interno del paziente. La follia non è “un’astratta” perdita della ragione, ne è un suo sconvolgimento.
Ciò genera una svolta dal punto di vista giuridico: la malattia accompagna la nostra vita biologica, così come la follia accompagna la nostra razionalità. Pertanto, anch’essa può verificarsi e può essere curata, perché la percezione dell’oggettività da parte del folle subisce semplicemente una distorsione soggettiva. Erano pertanto completamente in errore coloro che all’epoca paragonavano i folli agli animali, proprio perché la follia si rivela un “privilegio” (da qui il titolo dell’opera) degli esseri di ragione: senza ragione non può esserci follia, pertanto, anche i soggetti affetti da disturbi mentali sono ancora esseri dotati di umanità e dignità.
Questo è solo un mio modesto contributo sul testo di Giulia Battistoni, che invito tutti e tutte a leggere. Scoprirete un nuovo modo di leggere questo gigante del pensiero occidentale e, soprattutto, quanto sia stato influente al di fuori del mondo speculativo. In questo libro troverete la dimostrazione tanto pratica quanto teoretica di come la filosofia possa essere uno strumento per comprendere il mondo e, come ricordava Karl Marx – critico ma anche erede del pensiero hegeliano – per poterlo trasformare.
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