John Stuart Mill, nell’introduzione al testo “On Liberty[1]” del 1859, evidenzia come l’entrata in scena della sovranità popolare a fondamento della legittimità d’uno stato non sia, contrariamente a quanto si auspicherebbe, esente dalla lotta tra “libertà e autorità[2]”. Lotta secolare di cui si inizia ad aver traccia con il nascere dei primi nuclei associativi e rispetto a cui la sovranità popolare dovrebbe essere antidoto e risoluzione. I termini del conflitto, sopra intitolati libertà e autorità, riguardano interessi irrimediabilmente opposti ed antitetici propri di governanti e governati uniti non dalla condivisione dell’idea di bene comune ma dall’inclinazione a perseguire il proprio personale interesse. La libertà dei governati viene rivendicata con la richiesta di alcuni diritti politici, richiesta verso la quale l’autorità dei governanti non può sottrarsi salvo l’originarsi di ingerenze interne. La libertà dei governati equivale alla sua protezione dal potere costituito e alla conseguente costituzione di spazi in cui l’autorità non può penetrare. Ciò fa sì che questo sia l’equilibrio instabile d’interessi divergenti in cui si gioca la partita politica che precede l’età della democrazia.
La democrazia non ha al suo interno voci antagoniste in cerca di compromessi perché ne esiste una sola, quella del suo popolo che scorge nei governanti una sua espressione. La democrazia è l’unità della collettività o la legge rispettata perché voluta. Sorge, però, spontanea la domanda perché Mill chieda ai suoi lettori di non riporre ingenue pretese in quest’ultima. Perché, se è vero ciò che fin d’ora si è detto, è altrettanto vero che “l’idea secondo cui non vi è necessità che il popolo limiti il proprio potere su sé stesso è corretta solo in tempi in cui il governo popolare è un obbiettivo fantastico o oggetto di letture[3]”. La verità assiomatica enunciante: «un popolo che governa sé stesso non ha bisogno di diritti o leggi che ne limitano il potere su di sé» viene confutata dagli avvenimenti della realtà di fatto che accompagnano la penna dell’autore in questione. Mill, filosofo inglese ottocentesco, non fa riferimento alla sua terra natale quanto alla repubblica democratica americana, anche sulla scorta delle analisi di Alexis de Tocqueville in “La democrazia in America[4]”, traendone una ben precisa conclusione:
“La volontà del popolo significa, in termini pratici, la volontà della parte di popolo più numerosa o attiva – la maggioranza – così che il popolo può desiderare opprimere una sua parte e le precauzioni contro ciò sono altrettanto necessarie quanto quelle contro ogni altro abuso…. Quindi, è necessario proteggersi dalla tendenza della società a imporre, come norme di condotta, le proprie idee e usanze a chi dissente, ostacolando lo sviluppo delle individualità discordanti o minoritarie[5]”.
Oppure:
“Le simpatie e antipatie della società sono il fattore principale che determina le norme di comportamento da osservare per non incorrere nelle sanzioni della legge o dell’opinione[6].”
La tirannia della maggioranza è la lente di ingrandimento con cui il nostro autore guarda al fenomeno democratico, così insidiosa ed inestirpabile, da individuare il suo rimedio nella domanda: «Quali i limiti del potere che la società può legittimamente esercitare sull’individuo?». L’idea di giustizia, di legge o di bene corrispondono ai gusti, preferenze, pregiudizi e consuetudini di quella porzione di popolazione che, in un certo momento storico, è maggioritaria in una società e questo è per “On Liberty” ragione del protrarsi del conflitto tra libertà e autorità. Da ciò ne segue che una società è più o meno libera in base a quanto lo stato può legiferare sulla vita d’un individuo e perfetta se e solo se lo stato esiste al fine di evitare e scongiurare scontri o violenze tra i cittadini che lo popolano. L’idea di uno stato così spoglio nelle sue funzioni è diametralmente opposta a quella dello stato sociale che, nell’articolo in questione, viene condivisa. Ossia, uno stato che interpreta il valore di dignità umana, “tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti[7]”, secondo l’accezione sostanziale dell’idea di uguaglianza[8], chiedendoci non di valutare empiricamente se siamo di fatto uguali, ma di operare in modo che ciascuno sia posto nelle medesime condizioni di ogni altro. Diversamente, che cosa dire del problema da Mill riscontrato e individuato come “la tirannia della maggioranza[9]”? La sua epoca diverge sotto tanti punti di vista dalla nostra, ad esempio nel ritenere priva di ogni veridicità la voce di un ateo che testimonia in tribunale e 225 anni di storia sono trascorsi con significative conquiste sociali: la proclamazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo o la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, tra i quali figura il diritto antidiscriminatorio. Tuttavia, ciò non fa sì che le sue riflessioni appartengano ad un passato da rigattieri. Perché, comporterebbe ritenere che il concetto di miglioramento o sviluppo abbia quale suo unico criterio di verifica il semplice trascorrere del tempo. L’autrice Nussbaum, filosofa politica contemporanea, ricorda come sia essenziale mantenere un occhio vigile sul nostro presente; avviso che la traghetta alla scrittura del saggio “La nuova intolleranza, superare la paura dell’islam e vivere in una società più libera[10]” dove l’aggettivo in apertura del titolo può venir interpretato come campanello d’allarme che ci avverte di non accomodarci sulle conquiste compiute dal diritto:
“Potremmo forse pensare che tutto ciò di cui abbiamo bisogno siano dei buoni principi che comandino eguale rispetto per tutti. Ma i principi non si applicano da soli: dobbiamo prima avere una percezione accurata delle caratteristiche fondamentali della situazione che ci troviamo davanti[11]”.
Nussbaum rintraccia la tirannia della maggioranzanei divieti e nelle limitazioni all’espressione religiosa islamica emanati da svariati paesi europei a partire dal 2011, che identificano l’indumento del velo come un “powerful external symbol[12]” in sé e per sé contrario ai valori di rispetto e parità perché portavoce di idee intolleranti, d’imposizione o costrizione e reificazione. Desta stupore credere che a un semplice copricapo possano essere attribuite tali conseguenze ma ciò è quanto accade con giudizi preda dei nostri preconcetti. Desta stupore credere che una coppia, solo perché eterosessuale, possa essere consacrata come unico modello legittimo per l’adozione, ma ciò è quanto accade con giudizi preda di consuetudini. Desta stupore leggere odierne riflessioni scettiche sul mantenimento dell’alto livello di quorum richiesto in Italia per procedere con il mezzo del referendum; ma ciò accade quando questo riguarda tematiche di categorie minoritarie.
Desta stupore che, nonostante viviamo nell’epoca dell’egual dignità, arbitrarie associazioni mentali o la storicità di determinati comportamenti o usanze possano decretare ciò che è legittimo e ciò che non lo è, ma timori espressi più di 225 anni fa continuano a impregnare la nostra attuale vita in società:
“We live in danger of understanding the human being and their needs as if they were our clones leading to believe that what it’s good for us it’s good for them too[13].”
“Come l’altro ci guarda conta”, titolo del presente articolo, vuole significare la pericolosità scatenata dal tradurre la nostra attività mentale mirata a compiere categorizzazioni in giudizi morali e politici[14]. Raggruppiamo, sussumiamo similitudini e somiglianze in macrocategorie, misuriamo la frequenza e durata dei fenomeni empirici che ci circondano per orientarci nel mondo ed averne conoscenza; è un processo non solo necessario ma anche utile. Tuttavia, il suo aspetto cambia repentinamente quando si veste del linguaggio valoriale o politico.
Due linguaggi, uno facente capo all’universo dei valori ed un altro facente capo al mondo dei fatti con le sue opinioni e credenze, uniti ed inscindibili nella teoria milliana dove il giusto corrisponde all’opinione dei più, ma distinti e disgiunti nella presente riflessione. L’arbitrarietà e vacuità a cui è soggetto il concetto di giusto conduce Mill ad elaborare una teoria politica in cui il potere che la società può avere sull’individuo è minimo, mentre l’universalità del valore della dignità umana e l’eguaglianza sostanziale sottesa aprono le porte alla progettazione di uno stato che interviene nella vita dei suoi cittadini fintanto che ognuno non sia posto nelle medesime condizioni di opportunità richieste da una vita dignitosa. Tuttavia, l’universalità del linguaggio valoriale e la sua auto fondatezza “Agisci sempre in modo da considerare l’umanità, sia nella tua persona, sia nella persona di ogni altro, sempre e al tempo stesso come scopo, e mai come semplice mezzo[15]” possono venir occultate quando le nostre categorizzazioni diventano pratiche, agendo come pregiudizi.
L’homus politicus di cui stiamo tratteggiando la fisionomia è padrone di due linguaggi che aprono due scenari paralleli ed antitetici: l’uno diretto alla continua realizzazione dell’idea d’eguaglianza sostanziale, l’altro diretto verso l’identificazione d’una identità sociale ritenuta superiore alle altre perché specchio in cui la maggioranza della collettività si riflette. Detto altrimenti, ognuno di noi sta nella propria individualità storica e culturale e, nonostante ciò, può agire in-relazione o cooperando alla realizzazione del valore di vita dignitosa in modo da contribuire ad una società che è tanto più eguale quanto più al suo interno diversificata, o realizzando un tessuto sociale che è tanto più intollerante quanto omogeneo al suo interno.
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[1] J.S. Mill, Saggio sulla libertà, Il saggiatore, Milano 1981. [2] Ibidem. [3] Ivi, pag. 22. [4] A. de Tocqueville, La democrazia in America, UTET, Milano 2004. [5] J.S. Mill, J.S. Mill, Saggio sulla libertà, Il saggiatore, Milano 1981, pag. 30. [6] Ivi, pag. 35. [7] Art 1, Dichiarazione Universale dei diritti umani. [8] N. Bobbio, Eguaglianza e Libertà, Einaudi, Torino 2020. [9] J.S. Mill, Saggio sulla libertà, Il Saggiatore, Milano 1981. [10] M. Nussbaum, La nuova intolleranza. Superare la paura dell’Islam e vivere in una società più libera, Il Saggiatore, Milano 2022. [11] Ivi, pag. 150. [12] http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-22643. [13] J.Raz, Multiculturalism: A liberal prospective in: Multiculturalism and the law, pag. 55. [14] D.Hume, Trattato sulla natura umana, pag. 100 e conseguente dibattito contemporaneo sorto a seguito della legge di Hume. [15] I. Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, Editori Laterza, Bari 1997